NIENTE È PER SEMPRE

di Michela


Parte 1

Françoise aprì gli occhi pesanti.
Una debole luce filtrava dalla finestra e si alzò a fatica, ancora piena di sonno, per trascinarsi letteralmente fino al bagno, a tentoni.
Avrebbe tanto, tanto voluto dormire qualche minuto in più, ma aveva bisogno di una doccia, un estremo bisogno di una doccia per l'esattezza, e non ci sarebbero stati altri momenti.
Aprì l'acqua e prima di infilarsi sotto il getto si guardò distrattamente allo specchio… che orrore!
Come aveva potuto arrivare a tanto, come aveva potuto ridursi così?
I capelli erano diventati troppo lunghi, incolti, sciupati, e gli occhi gonfi si perdevano in due occhiaie profonde ormai permanenti, e questa era solo la faccia.
Oggi compiva gli anni, 26 anni, pensò mentre entrava nella doccia, e ricordava perfettamente quel memorabile compleanno di quattro anni fa: allora aveva giurato a se stessa che mai più, mai più si sarebbe trascurata così…e allora, come mai lo aveva permesso?

Quattro anni prima

Françoise si guardò allo specchio di sfuggita prima di uscire, non si era neppure pettinata e si passò svelta le dita tra i capelli per renderli presentabili.
Si trascurava proprio, come le aveva fatto notare anche Jet - e se lo aveva notato lui era grave -, e in quel preciso istante decise che sarebbe stata l'ultima volta che non si prendeva cura del suo aspetto esteriore.
In fondo si trattava di una coda della decisione che aveva maturato durante quest'ultima settimana, la decisione di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da zero.

Non era una estremamente decisa di natura, di solito lasciava andare le cose come andavano, ma quando decideva, quando finalmente decideva non aveva più dubbi, né paure, e agiva.
Per questo quella notte aveva dormito bene come non le capitava da anni, per questo finalmente si sentiva sicura, e si sentiva bene, relativamente bene ovviamente… diciamo molto meglio di come si sentiva da mesi e mesi ormai.
Arrivò davanti alla porta della sala riunioni ed entrò senza bussare.
C’era soltanto Jet, che la guardò con affetto…
“Ah! Françoise! Senti questa… Joe è stato dal dottor Gilmoure…ha detto che non vuole, anzi… aspetta… che gradirebbe non essere... insomma, non vuole più fare missioni con te… è la cosa più stupida che abbia mai sentito…” sbuffò “…si può sapere il perché di questa stronzata visto che non sono riuscito a cavargli altro di bocca?”
Lei abbassò gli occhi per non far vedere quanto era stata colpita.
Eppure non era una vera e propria sorpresa, anzi, era prevedibile, e non era quello che aveva desiderato, in fondo?...
“Allora?”
Silenzio…
”Andiamo Françoise! Si può sapere cosa sta succedendo? Stai facendo un sacco di stupidaggini ultimamente! Non negarlo!...” esclamò ad una Françoise che arrossiva “...sei tu quella con la testa sulle spalle di noi! Sei TU quella che ha buon senso! Ce lo dici sempre! Se ti ci metti anche tu a far cazzate... TU! Non riesco neanche a crederci! Cos'è che succede? Non sei mica tu! Dov'è finita Françoise?”
Lei, che era ancora in piedi, si sedette di fronte a lui e sospirò…
“Non posso raccontarti cose così… personali…”
“Perché scusa? Non siamo una specie di famiglia?”
Lei si allungò e gli strinse la mano per un attimo…
“Sì... ma non posso lo stesso, mi dispiace… però ti assicuro che non devi preoccuparti per me…” gli sorrise “…perché ho deciso, e quando dico ho deciso intendo che HO DECISO, che da domani torna la vecchia Françoise, la vera Françoise!”

Jet la guardò dapprima perplesso, poi il sorriso gli si allargò…
“Bene! Mi hai convinto!...” esclamò picchiando il pugno sul tavolo “…non ne potevo più di quella Françoise musona! Allora…” continuò “…adesso sistemiamo tutto…”
Lei sospirò per la seconda volta appoggiandosi allo schienale della sedia... no Jet, pensò, alcune cose non si possono sistemare…
“Allora…” proseguì lui “...è tutta colpa di Joe giusto?”
“Ma no!”
“Va bene... non è colpa sua ma lui c'entra, no? E poi è solo quando c'entra lui che tu sei così debole... che dici, staresti meglio se gli spaccassi la faccia?”
“No Jet!...” cominciava ad arrabbiarsi “…non starei meglio!”
“Strano,  perché farebbe stare meglio me…”
“Basta per favore... non è divertente...”
“Ma sì, scherzavo! Bene... facciamo così… ora vai da Joe, parlate e chiarite…” dichiarò tranquillamente lui…
“Cosa?...” quasi gridò lei “…NO Jet, mi dispiace… alcune cose non sono «sistemabili», rassegnati…”
Jet si raddrizzò sulla sedia e la guardò improvvisamente serio…
”Senti Françoise, voi due non siete solo parte della mia famiglia…” le spiegò “…siete anche due persone che dovranno lavorare insieme… per cui… dovete chiarire, e basta…”
“Non posso…” asserì lei con fermezza, e davvero non poteva…
”Basta! Vai e comportati da adulta!”
Françoise si alzò di colpo.
Jet che le diceva di comportarsi da adulta.
Era il colmo.
Aveva la mano alla maniglia della porta quando lui la richiamò…
“Ah... Françoise…” la fermò “…non è oggi il tuo compleanno?”
“Sì…”
”Auguri! Festeggeremo domani… tutti insieme... e con Joe… fatti un regalo!”
”Idiota…” borbottò lei tra i denti aprendo la porta…

”Senti chi parla! Tu e quell'IMMENSO IMBECI...”
Sbatté la porta dietro di sé, arrabbiata…
E adesso?
Doveva farlo davvero?
E soprattutto, poteva farlo?
Non voleva neppure pensare a cosa avrebbe potuto combinare Jet altrimenti.
Si avviò verso la sua stanza sempre più agitata.
E dire che non voleva pensarci più! Chiarire poi era… come poteva chiarire, avrebbe dovuto spiegare, raccontare, e si vergognava!
Come poteva raccontargli la sua ossessione, come spiegare un groviglio di pensieri confusi, di paure e desideri incontrollabili, un susseguirsi di tentativi di fuga, di perdere lucidità?
Quando, esattamente, era iniziato tutto questo?
Si sedette sul suo letto, ricordando.
Era iniziato con quella missione…
Dovevano scortare la moglie di un ricco signore durante un viaggio di un paio di giorni: il marito aveva ricevuto delle minacce e non voleva farle correre alcun rischio… così erano partiti in tre: lei, Joe e Bretagna.
Françoise aveva incontrato l'uomo quella volta che era venuto a parlare con il dottor Gilmoure, ed era rimasta sorpresa quando aveva visto la donna.
Anche se era ovvio il perché, si era chiesta come facesse quella donna, bella e raffinata, a sopportare quell'orribile idiota grasso e pelato che era suo marito... per quanti soldi avesse… d'altronde se lo era sposato, quindi se lo meritava.
Era davvero bella, l'aveva osservata bene durante il viaggio, ammirata suo malgrado anche lei: lunghi e morbidi capelli castani ed enormi occhi azzurri, più scuri e sicuramente più belli dei suoi, labbra carnose e indubbiamente sensuali, ma quello che l'aveva affascinata di più era il corpo di lei, ben poco nascosto dalla scollatura generosa, perché non c'erano muscoli né tanto meno cicatrici in quel corpo morbido e aggraziato, pieno e affusolato.
Bretagna non poteva evitare di sbirciare non appena poteva.
E Joe... beh... ovviamente Joe non aveva battuto ciglio, neppure quando Françoise aveva notato lo sguardo di quella soffermarsi per un lungo momento su di lui.
La cosa non l'aveva preoccupata, c'era abituata.
Le donne lo corteggiavano sempre, perché era bello, perché era forte, perché era tenebroso e anche pericoloso... dio... perché siamo così sceme?
Françoise aveva passato diversi stadi e si era posta un'innumerevole serie di domande riguardo a lui…
Non intendeva più essere una ragazzina pateticamente innamorata, però lo era mannaggia, e non poteva farci proprio niente.
Così aveva fatto l'unica cosa che era in grado di fare, aveva continuato ad aspettarlo, ad aspettare che lui la lasciasse entrare pian piano nella sua vita, sforzandosi di prendere le cose come venivano e accettandolo nella sua di vita senza chiedergli nulla, accettando di stargli accanto tenacemente, faticosamente, come una presenza discreta, defilata, accessoria.
Solo quello.
Sentiva, quando era insieme a lui, gli sguardi invidiosi delle donne… in quei momenti provava una piccola, risibile soddisfazione, perché sapeva che lui le voleva bene - anche se non come voleva lei -, e di essergli molto più vicina di quanto avrebbe potuto essere qualcun'altra…
Non che questo le bastasse, non le bastava per niente, ma era ancora disposta ad aspettare, come sempre.
Quella sera, la seconda ed ultima sera della missione, avevano deciso di dividersi la notte in turni di tre ore…
Il primo turno - e il migliore - era toccato a lei, mentre quello in mezzo  - il peggiore - era capitato a Bretagna, che aveva brontolato a lungo, l'ultimo era andato a Joe.
Finalmente Bretagna aveva smesso di mugugnare e si era messo a dormire le sue tre ore, e Françoise, prima di cominciare il suo turno, si era messa a medicare Joe per cancellargli dei piccoli e innocui graffietti che si era fatto spostando un ramo…
Ebbene sì, ogni scusa era buona per toccarlo…
Aveva quasi finito, purtroppo, quando si era avvicinata a loro una servetta per chiedere a Joe se per favore poteva seguirla che la sua padrona voleva parlargli.

Parlargli un cavolo, aveva borbottato Françoise tra i denti mentre si arrampicava sull'albero che aveva scelto per controllare il piccolo agglomerato di tende in cui dormiva la «padrona» e la sua corte: una tenda esageratamente grande per lei - tutto quello spreco di tempo e di energie per preparare una tenda che sarebbe servita per una sola notte! - circondata da tende più piccole che la proteggevano, ma ad una certa distanza per non disturbare.
Beh... si disse poi lei cercando di essere giusta, visto che Joe era a capo della missione forse la «padrona» voleva effettivamente chiedergli qualcosa... già… chissà cosa, eh?
Mi dispiace per te signora padrona, pensò sogghignando, la bellezza a volte non basta e i soldi non comprano tutto.
Due ore dopo non aveva più quell'aria sogghignante: Joe non era ancora tornato e lei non riusciva a capire perché ci mettesse tanto.
Va bene, doveva esserci qualche buon motivo che lui le avrebbe spiegato l'indomani.
Ma i minuti non passavano mai e il nervosismo non se ne andava, anzi aumentava e aumentava mentre lei se ne stava lì ad aspettare, e le pareva che in nessunissima veglia di nessunissima missione il tempo fosse passato così lento.
Un'altra ora.
Ormai il suo turno era finito, ma che senso aveva svegliare Bretagna e restare svegli in due, visto che lei non avrebbe chiuso occhio?
Scese dal suo albero decisa a non svegliare Bretagna e si avvicinò invece in assoluto silenzio alla tenda centrale, inutile continuare a passare da un dubbio all'altro, da una supposizione all'altra mentre magari quella era una trappola e Joe era in pericolo in quel momento - una supposizione valida quanto un'altra, no? -…
Era arrivata all'entrata della tenda, non filtrava luce da lì e non sentiva parlare, non si sentiva niente.
D'altronde la tenda era così assurdamente grande che doveva farci il giro attorno per farsi un'idea di quel che succedeva all'interno.
Ne seguì il perimetro ed era ormai vicina al retro quando le era parso di distinguere dei suoni: dovevano provenire proprio dal retro, filtrava anche una luce soffusa dall'interno.
Si avvicinò come in sogno alla fonte dei rumori, erano dei suoni soffocati, dei... gemiti?
Si sentiva le gambe di piombo mentre si avvicinava lentamente, una gamba pesantissima dopo l'altra, al punto preciso da cui provenivano i suoni, e proprio come in sogno, con movimenti lenti che non si riconosceva, aveva azionato i suoi raggi X in maniera sufficiente a farle vedere quello che sapeva già che c'era dall'altra parte, due corpi nudi avvinghiati e ansimanti.
Era stata una frazione di secondo, poi era tornata indietro e si era arrampicata ancora una volta sul «suo» albero.
Aveva passato il resto del tempo a cercare di concentrarsi su tutti i rumori della notte: sarebbe stato il colmo se qualcuno avesse attaccato proprio in quel momento, prendendoli di sorpresa perché quello che doveva essere a capo della missione era troppo impegnato a farsi la donna che avrebbe dovuto protegge! - molto poco professionale Joe Shimamura! - e… e quella che faceva da sentinella era troppo impegnata a pensare al suo collega che si faceva quella sgualdrina!...
Perché non riusciva a togliersi dalla testa quell'immagine… i muscoli della schiena di lui che si flettevano alla luce della candela.
E perché una domanda continuava a girarle per la testa: perché lei?, perché quella donna tra tutte?... sì... era bella… ma c'erano state altre donne belle che lui non aveva neppure guardato due volte, cos'aveva di diverso questa, cosa la faceva speciale?
Perché lei? 
Perché non aveva scelto... me?
Joe si era presentato puntuale per il suo turno di guardia e lei era scesa dall'albero.
Si era avvicinata e lo aveva osservato con attenzione, gli occhi abituati alla mancanza di luce.
E in fondo era questo che l'aveva sconvolta di più, qualcosa di indefinibilmente più leggero nello sguardo di lui, come se anche solo per poco la tensione che sempre lo accompagnava si fosse sciolta.
Quella donna, quella sconosciuta che lei aveva deriso, che aveva giudicato con disprezzo, gli aveva fatto dimenticare se stesso, lo aveva fatto felice, reso libero, anche se solo per qualche ora, cosa che non era mai riuscita a lei.
Lui si era avvicinato tanto da permetterle di sentire il suo profumo, l'amatissimo profumo del suo corpo, mischiato ad un altro odore, che lei non conosceva per esperienza personale, ma che doveva essere odore di... sesso?
E poi lui aveva allungato una mano e le aveva sfiorato il viso con le dita, quelle dita che avevano appena toccato un'altra donna…
“Va’ a dormire, adesso... Françoise…” le aveva sussurrato con tenerezza.
Lei si era scostata bruscamente lasciandolo così, con il braccio ancora alzato, e si era messa a dormire di fianco a Bretagna, a far finta di dormire per l'esattezza, gli occhi pieni di lacrime.

Il giorno dopo tutto era come prima all'apparenza e Françoise avrebbe pensato che fosse stato solo un sogno, se non avesse saputo che non era così, che era vero, che era accaduto davvero…

 

Parte 2

Dopo che erano tornati a casa Françoise aveva cercato in tutti i modi di far tornare tutto com'era prima, avrebbe dato qualsiasi cosa perché tutto tornasse come prima, e mai più si sarebbe lamentata sostenendo che non era abbastanza!
Mai più.
In realtà non era cambiato niente all'apparenza, tanto meno il comportamento di Joe, era solo lei che era cambiata.
Ora quando una donna si avvicinava  a lui, o solo lo guardava, una sottile inquietudine la invadeva, come una morsa allo stomaco, e visto che la cosa capitava abbastanza spesso, ormai viveva in uno stato di ansia perpetua.
E col senno di poi avrebbe potuto anche andare bene così, visto che comunque l'ansia era ingiustificata.
Quella sera lei, Joe e Jet, avevano deciso di andare insieme a mangiare fuori.
Dopo cena li avevano raggiunti anche Albert, Bretagna e Punma, assieme ad un paio di ragazze… si erano seduti tutti insieme a scambiare qualche osservazione su un futuro incarico che avrebbero dovuto affrontare, o almeno credeva... in realtà non riusciva a seguire molto perché una delle due ragazze si era seduta, guarda caso, vicino a Joe, e lei aveva passato tutto il tempo a controllarla, rispondendo a monosillabi quando qualcuno cercava malauguratamente di coinvolgerla nella conversazione e le chiedeva qualcosa… quanto stupida era!
La ragazza era carina, ma niente di speciale secondo lei, faceva colpo, ecco, anche se era tutta apparenza grazie a quella massa di capelli color rame e quegli occhi da gatta.
Non sapeva cosa l'avesse messa in allarme visto che Joe si comportava come al solito…
Solo che poi era successo qualcosa.
La ragazza aveva detto che se ne andava a casa e aveva salutato tutti, ma mentre si alzava aveva sussurrato qualcosa all'orecchio di lui, e poco dopo si era alzato anche lui e se n’era andato.
Françoise non sapeva cosa le fosse preso.
Aveva detto che era stanca ed era uscita in fretta, e una volta fuori si era messa a seguirlo.
Aveva visto la ragazza che sbucava da dietro l'angolo, gli andava incontro e cominciava a parlargli, e non contenta li aveva seguiti da lontano mentre camminavano affiancati senza toccarsi, lei che chiacchierava e lui che si limitava a rispondere, finché non erano arrivati in quella che doveva essere la casa di lei, erano entrati in un portone e non aveva potuto vederli più.
E poi... e poi... cosa le fosse preso non lo capiva neppure lei.
Invece di andarsene aveva aspettato che una luce si accendesse nell'edificio, si era arrampicata fino a quella finestra ed era rimasta lì, senza spiare all'interno perché le avrebbe fatto troppo male, ad ascoltare i suoni indistinti attutiti dal vetro, continuando a ripetersi che doveva andarsene.
E invece era rimasta, per quella che le era parsa un'eternità, non un'ora o poco più.
Così era cominciato un periodo di pura ossessione e follia.
Di giorno tutto sembrava continuare come prima: lei gli parlava, rideva, solo non gli stava più così vicino perché era diventato tutto troppo difficile, perché le sembrava che non le sarebbe più bastato.
Perché lo amava, e lo desiderava così tanto... e non poteva averlo.
Di notte, ogni notte, lo seguiva, e non andava a dormire finché non aveva visto la porta della sua stanza chiudersi dietro di lui e la luce accendersi e poi spegnersi.
E quando accadeva, lei ritornava nella sua camera e si addormentava di colpo, di un sonno pesante e senza sogni, buttata giù dal letto dalla sveglia dopo quelli che le parevano pochi secondi: ma se a lui bastava dormire quattro-cinque ore per notte, se le sarebbe fatte bastare anche lei.
E comunque quello era l'unico modo in cui riusciva a dormire.
Ogni tanto, non tanto spesso per fortuna - era passato un po’ di tempo dopo la rossa, e quasi lei si era illusa che si trattasse di un altro caso isolato -, c'era una donna.
Françoise aveva sviluppato un sesto senso che l'avvertiva, serrandole la gola in una stretta che le permetteva di respirare a fatica, quando arrivava quella «giusta».
In realtà a freddo, ragionando, non riusciva a trovare un denominatore comune tra quelle donne, a parte che erano tutte carine  - una sola molto bella, le altre niente di speciale a suo parere - e tutte spregiudicate - conoscendolo, dovevano fare la prima mossa, e anche la seconda -... per il resto.. non avevano niente in comune e non riusciva a capire cosa ci trovasse in loro, cosa le rendesse diverse dalle altre.
Non era più stata una cosa evidente come quella volta con la rossa e se non lo avesse seguito ogni sera non lo avrebbe più incastrato.
Ormai rideva tra sé e sé, pensando che almeno a qualcosa tutto ciò era servito… a diventare una maestra del pedinamento.
Di regola Joe finiva a casa loro – ovviamente non poteva portarle alla base operativa - e se ne andava dopo alcune ore… solo una volta era rimasto tutta la notte - non voleva neppure cercare di capire perché a volte restava di più, cosa lo facesse restare di più -…
Lei aspettava fuori, senza mai guardare - già quell'unica immagine infestava le sue giornate e le sue notti -, aspettava abbastanza vicino da poter sentire dei suoni attutiti, abbastanza lontano da non distinguerli, e solo ogni tanto qualche parola urlata giungeva fino a lei, di solito il nome di lui… una vera e propria coltellata.
Sempre, aspettava che tutto questo finisse, piena di paura perché magari una volta, magari una di queste, un giorno, lo avrebbe fatto restare.
Più ci pensava, meno capiva come fosse arrivata a questo punto, ma in qualche modo tutto questo era diventato una routine, una nuova routine: sicuramente morbosa, ma a suo modo rassicurante.
Ovviamente non poteva durare per sempre.
E infatti, lentamente, tutto degenerava sempre più, e lei non ce la faceva più e non reggeva più quella personale, delirante ossessione, non resisteva più.
La sua mente e il suo corpo reclamavano sonno… e sollievo.
Fino a quando la semplice presenza fisica di lui le faceva male.
E il desiderio di essere toccata, baciata... amata, era una necessità impellente…
Era malata, malata, cos'altro poteva essere quella follia?
E non c'era niente che potesse fare, doveva solo andare da lui e chiedergli di guarirla.
Ma naturalmente non poteva.
E così, finalmente, aveva cominciato a farsi strada la percezione che era ora di cambiare, che era necessario cambiare.
Quella sera aveva incontrato Catherine…
Erano mesi che non si vedevano e non si frequentavano più come una volta…  
”Come va, Fran?”
“Abbastanza bene… e tu?”
“Sai, cara… tu mi conosci e sai che ti ho sempre parlato chiaramente…” aveva iniziato “…non ci vediamo più molto spesso, e non per causa mia... sei tu che mi tieni a distanza... e questo mi dispiace… ti voglio bene, e davvero mi dispiace che tu... voglio dire... oh Françoise! Guardati! Ti si legge in faccia che lo ami... e in una maniera assurda e fuori dal tempo, non del tutto normale se vuoi il mio parere…”
“Non sono sicura di volerlo, il tuo parere…” l'aveva interrotta ironicamente lei…
“E io te lo dico lo stesso, perché ti voglio bene... se non fossi così persa ti direi di saltargli addosso e toglierti lo sfizio… ma mi sa che non puoi, troppo pericoloso... per cui devi togliertelo dalla testa, definitivamente… non fa per te… e lo sai anche tu... uno così ti annienterebbe, ti succhierebbe la vita a poco a poco... te la sta già succhiando! Non lo vedi? Devi. lasciarlo. perdere… e cominciare a vivere!”
“Dio Catherine!...” aveva risposto lei… gli occhi lucidi “…non pensi che la gente a volte semplicemente non voglia sentirsi dire la verità, che magari possa volere, solo, illudersi ancora un po’?”
“Non tu Françoise, non tu... sei più forte, più dotata, più determinata di me... ti invidio in tutto... com'è che solo per quanto riguarda lui devi essere così debole? Svegliati! Trovati qualcuno che ti faccia sentire viva, che ne so... ubriacati se non ce la fai da sobria... ma prova il piacere di sentirti tra le braccia di qualcuno, di sentirti desiderata!”
Ognuna di quelle parole l'aveva colpita come una pietra, e non aveva maschere, non aveva più ripari dietro cui nascondersi: era vero, era vero... tutto vero... tutto stramaledettissimamente vero... eppure, in un certo senso, era anche falso, come se scalfisse solo la superficie, come se sotto, all'interno, ci fosse un nucleo puro e profondo che Catherine non poteva vedere, non poteva neppure intuire... ma era solo una sensazione, anzi, forse era solo l'ennesima scusa che accampava con se stessa per tirare avanti ancora un po’ senza aprire gli occhi.
“Non so se riesco a vivere…” ammise tristemente “…non quel vivere che intendi tu, almeno…”
Catherine aveva sorriso…
“Ti aiuto io se vuoi…”
E queste semplici parole avevano lasciato Françoise stranamente grata.
Erano rimaste ancora un po’ lì a chiacchierare, di stupidaggini ora...
“Ascolta…” l'aveva salutata Catherine alla fine “…passo a prenderti una di queste sere... ok?”
L’aveva abbracciata prima di allontanarsi, lasciandola lì, un po’ con la voglia di ridere, un po’ con la voglia di piangere.
Pian piano era tornata a casa...
Si era fermata di colpo.
Joe era sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta,
davanti a lui c'era Catherine che gli parlava...
Sicuramente era andata a parlargli di lei, a perorare la sua causa o chissà cosa… divenne color aragosta per l'imbarazzo, e fortuna che nessuno l’aveva notata in quel momento… si era girata e si era allontanata: non voleva vedere altro.
In qualche modo quello era stato troppo, era arrivata al suo limite, non avrebbe tollerato altro.
Aveva perso la sua innocenza quella sera, in maniera vergognosa, seguendo il consiglio di Catherine...
Era entrata in un locale e aveva bevuto, bevuto fino a non capire più niente.
Il giorno dopo stava da schifo.
Aveva solo dei vaghi ricordi di quello che era successo la sera prima, non ricordava neppure bene la faccia del tipo, ricordava di averlo seguito in un vicolo e poi c’era la vaga sensazione di essere toccata... che squallore...
Che squallore...
Era sicura di averlo fatto solo perché aveva trovato del sangue mischiato a... cosa diavolo era tra gli slip?...
Che schifo, che schifo, che schifo!
Almeno non aveva sentito male, cercava di dirsi nel disperato tentativo di trovare un lato positivo… non aveva sentito niente…
Già, una gran bella fortuna!
Aveva abbassato la testa sulle braccia e aveva iniziato a piangere, e piangere, e piangere, senza riuscire a smettere, il corpo scosso da singhiozzi.
Non era mai stata peggio, no... vivere così non faceva per lei…
A quel punto avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto raccogliere tutta la lucidità, il buon senso e l'intelligenza che sapeva di avere, da qualche parte, e capire di aver toccato il fondo.
Invece era stato solo l'inizio di quello che sicuramente era stato il periodo peggiore della sua vita, i mesi peggiori della sua vita, quelli di cui aveva parlato Jet, quelli per cui Joe non voleva più neanche vederla.
Mesi in cui aveva cercato con tutta se stessa di non pensare, di non capire, di non vedere… terrorizzata all'idea di fermarsi, di doversi trovare davanti se stessa.
Di giorno si comportava come sempre, forse solo in maniera più meccanica, forse perfino meno assente di prima, quando non dormiva la notte.
La sera beveva, a volte solo pochi bicchieri, a volte fino a ridursi ad una specie di larva, incapace di stare in piedi, di capire bene quello che faceva, di pensare... fino a finire da qualche parte a vomitarsi addosso.
A volte finiva a letto con qualcuno: senza divertirsi, senza provare niente, rimanendo con un senso di schifo, la nausea che la prendeva ogni volta che metteva a fuoco un particolare.
Una sera Joe l’aveva seguita ed era rimasto a guardarla… ne era sicura perché aveva sentito lo sguardo di lui su di sé... e quella probabilmente era stata la volta in cui aveva bevuto di più, in cui si era comportata ancora più da cretina del solito.
Ad un certo punto lui si era avvicinato, aveva afferrato il tipo che le stava addosso e gli aveva detto qualcosa che lo aveva fatto scappare… lei lo aveva guardato e quell'immagine le si era stampata in mente, chiarissima, spiccava netta in mezzo alla nebulosità di tutto il resto: l'immagine del suo volto bellissimo e corrucciato…
“Basta! Torna a casa! Perché ti fai trattare cosi?” le aveva detto.
E poi se n’era andato, e non l'aveva portata con sé, non l'aveva abbracciata, aiutata, salvata, l'aveva solo giudicata... e in quel momento, in quel preciso, breve momento, lo aveva odiato.
Non si era più ubriacata da quella volta, ma non aveva ancora toccato il fondo.
Quello lo aveva raggiunto durante l'ultima missione e Joe ne era stato testimone.
Non aveva neppure la scusa dell'alcool.
Era solo che ormai Joe la evitava apertamente e stava riuscendo ad evitarla anche quando erano in missione tutti assieme, per quanto sembrasse impossibile.
Ma lui riusciva ad ignorarla anche quando le parlava, come se non esistesse...
Non sapeva neppure perché si fosse messa a fare la cretina con Albert, e come fossero riusciti a farsi beccare da Joe appartati poco lontano: era un vago desiderio di sentirsi considerata, apprezzata, desiderata... amata.
Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di Joe, uno sguardo improvvisamente carico di una variegata gamma di espressioni: sorpresa, fastidio, dispiacere, ed un'altra che non riusciva a determinare ma che doveva essere disprezzo, non poteva che essere disprezzo.
Era comprensibile, era quello che sentiva lei per se stessa.
Si era ricomposta alla svelta ed in quel preciso istante aveva capito che era arrivata al limite anche di questo, anzi, che questo era un punto di arrivo definitivo.
Al diavolo l'alcool, al diavolo gli uomini, tutti... al diavolo anche Joe.
Avrebbe ricominciato da zero, da se stessa.
Il semplice fatto di aver preso la decisione l'aveva fatta sentire meglio, l'aveva fatta sentire se stessa, come non si sentiva da tempo.
Non avrebbe più potuto guardare in faccia Joe dopo quella volta, ma anche questo poteva essere utile.
E poi Joe era andato dal dottor Gilmoure… e lei ora avrebbe dovuto parlargli. 
Parlargli? Chiarire? E cosa?
Dirgli che lo aveva seguito, che si era ridotta così perché pensava a lui, perché era pateticamente innamorata di lui come una stupida ragazzina?
E poi?
Rassicurarlo dicendogli che ora aveva deciso, finalmente, di dimenticarlo?
Passò il resto del giorno in uno stato di tensione simile a quello che provava alla vigilia di qualche missione particolarmente difficile.
Doveva decidere.
Che fare, cosa era giusto fare... forse doveva effettivamente chiarire, forse era la cosa giusta da fare per poter chiudere tutto, per non lasciare niente in sospeso.
A sera aveva finalmente deciso, si era finalmente convinta che sarebbe stata la cosa migliore da fare: chiarire, per chiudere.
Ora doveva solo trovare il coraggio... e le parole.
Dopo aver vagato per un po’ senza meta ed aver pensato a mille diversi modi per cominciare il discorso, si decise: qualcosa le sarebbe venuto in mente, meglio non programmare, ma agire.
Tornò alla base e si diresse alla stanza di Joe.
Era tardi ormai e non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe detto.

 

Parte 3

Joe se ne stava seduto sul letto, al buio.
Aveva fatto finta di guardare la televisione per un po’, fino a che non aveva cominciato a provare fastidio anche per quel sottofondo indistinto e non l'aveva spenta.
Ora avrebbe dovuto dormire.
Visto che sapeva perfettamente che quella notte non avrebbe chiuso occhio, tanto valeva evitare di fare una cosa così priva di senso.
Joe non era mai stato un gran dormiglione, da quando era un bambino, da quando era rimasto da solo, da un giorno all'altro, in un orfanotrofio...
Ma ultimamente le cose erano peggiorate…
Chiuse gli occhi e riprese a pensare a Françoise.
Era tutto il giorno che ci pensava, dapprima suo malgrado, nonostante tutti i tentativi di cacciarne il pensiero, poi con rassegnazione, e infine si era arreso, deciso a riflettere su tutto fino a venire a capo dei suoi pensieri, dei suoi... sentimenti? E comunque fino a poter riuscire a razionalizzare ogni cosa, per metterla al suo posto e potersi almeno illudere di avere tutto sotto controllo.
Françoise gli era estremamente cara… e questo era un dato di fatto.
Aveva negato, e negato, e bluffato fino a che aveva potuto, fino a quando non era diventato impossibile, fino a quando non era diventato ridicolo continuare a mentire a se stesso.
Esteriormente il bluff era continuato lo stesso ovviamente, però era diventato sempre più difficile: l’affetto evidente di Françoise, il suo prendersi cura di lui, il suo stargli vicino così discretamente... in un modo lento, impercettibile, che non gli aveva permesso di difendersi… gli era diventata indispensabile.
E poi c'era quella sensazione che provava vicino a lei, all'inizio senza nome, indefinibile, poi sempre più chiara, evidente, urgente: il desiderio di toccare, baciare... fare l'amore.
Sapeva che Françoise gli voleva bene, tutto in lei lo dimostrava, le sue parole, il suo sguardo, il suo sorriso, le sue carezze, ma lei non sembrava volere qualcosa di più e lui nel caso specifico non riusciva a ragionare con lucidità.
O almeno questo era quello che si raccontava, a volte. 
Così poteva continuare a non fare niente, non che non sapesse cosa fare... ma poi cosa avrebbe dovuto fare, corteggiarla?
Forse la sua era solo... paura?
Paura di ricevere un rifiuto, o forse, o peggio, che lei gli dicesse di sì?
Forse... e in fondo era così semplice da capire, perché… sebbene sapesse che si sopravviveva a tutto, se non aveva niente non poteva perdere niente.
E poi le cose erano cambiate.
Joe sapeva che sarebbero cambiate prima o poi, ma pensava a qualcosa di completamente diverso, per l'esattezza pensava che lei si sarebbe innamorata di qualcun'altro e tutto sarebbe stato chiaro, chiuso, finito.
Invece tutto si era complicato in quella maniera assurda.
Era iniziato dopo quella missione, dopo quella donna.
Era stato fatto chiamare da lei - non si ricordava come si chiamava, cosa che lo seccava enormemente - proprio mentre Françoise lo stava... medicando? accarezzando? ...torturando? Ed era in uno stato di vaga insoddisfazione che si era presentato alla sua tenda.
Lei lo aveva invitato a sedersi, poi, visto che lui palesemente rifiutava l'invito e se ne stava in piedi in prossimità dell'entrata, aveva iniziato a parlare.
Evidentemente si trattava di pretesti, ed aveva risposto infastidito alle futili questioni che gli venivano languidamente poste.
Non aveva una spiegazione razionale sul perché fossero finiti a letto insieme.
Erano state le mani di lei mentre gli parlava a colpirlo: due mani affusolate, curate, bellissime, in quel momento straziate dalle loro stesse unghie che penetravano nella carne in maniera convulsa, quasi disperata.
Le mani erano subito scomparse sotto il tavolino apparecchiato per lui, che neppure si era avvicinato.
Lui aveva alzato gli occhi e l'aveva guardata, il volto bellissimo e perfettamente curato in quel momento frantumato dall'interno, e un volto molto più vivo, molto più interessante che prendeva forma dietro la maschera.
E quando lei si era alzata senza preavviso e si era avvicinata, la cintura della veste allentata, a rivelare la pelle nuda e perfetta, negli occhi un abisso di solitudine, non era riuscito ad andarsene.
Si era lasciato guidare all'interno della tenda e si era lasciato avvolgere da un incantesimo che gli aveva permesso di dimenticare se stesso, di liberarsi per qualche ora del peso enorme che lo schiacciava sempre, il peso delle scelte folli degli altri sulla sua vita… e delle loro conseguenze.
Quando era tornato per il suo turno di guardia, aveva trovato Françoise ad aspettarlo.
Era scesa dall'albero e gli si era avvicinata con uno sguardo ferito, per causa sua, come sempre, che lo aveva fatto sentire un verme.
L'aveva guardata negli occhi, ed era così bella… trasparente, onesta, semplice... pulita.
Così enormemente migliore di lui.
Avrebbe voluto parlarle, consolarla, cancellare il dolore che le aveva causato, che le causava, ma non poteva, semplicemente perché non ne era capace.
In fondo sapeva, come aveva sempre saputo, che non potevano amarsi, che non poteva dare a Françoise quello che lei desiderava, quello che meritava: una vita serena, una vita felice, una vita… normale…
Le aveva detto di andare a dormire, ed era come dirle «dimenticami, sii felice tu che puoi…»
L'aveva accarezzata con la mano con cui aveva appena toccato un'altra donna, ed anche se era tutto sbagliato, quello era un gesto d'amore.
Joe sapeva che le cose sarebbero cambiate da quel momento in poi.
Françoise gli faceva tenerezza per come cercava disperatamente di far finta che non fosse successo niente, di far tornare tutto come prima, mentre era evidente la sua tensione quando si trovava vicino a lui, il dolore sotto il viso sorridente, l'insicurezza nello sguardo.
Non c'era altro però, non disprezzo, né odio, e aveva bisogno di odiarlo almeno un po’ se voleva smettere di amarlo e poi dimenticarlo.
Poi tutto si era evoluto in maniera così imprevedibile.
Quella ragazza si era rivelata uno sbaglio dall'inizio alla fine.
Innanzitutto era stata una cosa troppo evidente e poi neanche gli piaceva un granché, parlava continuamente e non essendo un genio faceva discorsi stupidi e irritanti, e in più anche fisicamente non era niente di speciale…
Era solo che aveva avuto una giornata di merda e Françoise era l'unica che si accorgeva sempre di quando lui stava male, per quanto cercasse di nasconderlo, e lui aveva pensato che forse non sarebbe stato così sbagliato, che forse avrebbe potuto, egoisticamente… ma non poteva farle così tanto del male, non poteva usarla.
E quella ragazza - di quella non gli importava di non ricordare il nome, anzi, si era rifiutato di farselo entrare in testa anche se glielo aveva ripetuto continuamente -, quella ragazza, per un momento, mentre si alzava e gli chiedeva di seguirla fuori, lo aveva guardato con gli stessi occhi trasparenti di Françoise.
Era stato un momento, un abbaglio, quella non le assomigliava per niente, era così evidente mentre gli si avvicinava con quell'aria trionfante, eccessivamente allegra, eccitata, e poi preoccupata e seccata quando lo aveva visto titubante.
Aveva accettato di accompagnarla a casa sua e lui l'avrebbe anche mollata lì e se ne sarebbe andato, ma era entrato invece, perché Françoise li aveva seguiti fin lì, e non era sicuro del motivo per cui l’avesse fatto… e in quel momento non aveva voglia di trovarsela davanti e scoprirlo.
Aveva pensato che in fondo era solo sesso, non poteva essere così male.
Se l'era filata non appena aveva potuto farlo senza essere stronzo, non eccessivamente almeno, perché un po’ stronzo aveva dovuto esserlo: quella era appiccicosa, il peggio del peggio.
Era stato uno stupido.
Non si sarebbe mai più ficcato in una situazione simile.
Con sua sorpresa aveva scoperto che Françoise  era ancora lì fuori e lo aveva seguito di nascosto fino alla base, fino alla sua stanza…
Aveva fatto una lunga doccia e lei era ancora lì fuori.
Cosa avrebbe fatto se lui le avesse chiesto di entrare?
Si sarebbe rifiutata indignata o gli avrebbe permesso di cancellare il ricordo dell'odore dell'altra, lasciandogli assaporare il profumo del suo corpo?
Era rimasta lì finché lui non aveva spento la luce della camera…
Così era cominciato quel gioco morboso e surreale.
Di giorno lui e Françoise si parlavano normalmente, anche se senza più l'intimità di prima - gli mancava il contatto fisico, per quanto fosse una tortura in meno -.
Di notte lei lo seguiva di nascosto - o almeno così credeva - e a dire la verità alla fine era diventata davvero brava a nascondersi, se non fosse stato che sapeva che lei era lì avrebbe avuto molti dubbi.
Lui non aveva cambiato di una virgola le sue abitudini, di proposito non faceva niente di diverso da quello che faceva prima, dicendosi che non voleva farsi condizionare da qualcosa che sarebbe presto finito.
Ma sapeva che lei c'era e questo gli dava, stranamente, un sottile conforto.
Non negava che ci fosse qualcosa di morboso, insano in tutto questo, e l'insania raggiungeva l'apice quando lui andava a letto con una donna che per qualche motivo lo aveva colpito  - chiarendo apertamente e brutalmente prima, per lavarsi in qualche modo la coscienza, che dopo non avrebbe voluto rivederle più -, sapendo che lei era lì fuori ad aspettarlo.
Sapeva perfettamente che tutto questo non poteva durare a lungo, che era durato anche troppo.
Ed i cambiamenti erano arrivati, inizialmente impercettibili, poi sempre più evidenti, fino a quando Françoise non era più riuscita a nascondere in alcun modo il disagio che provava in sua presenza.
Gli faceva male vederla così, lei così solare, ora così tormentata, fragile, palesemente infelice.
Sapeva che in qualche modo era colpa sua, come sempre, ma non poteva fare niente, o meglio, non sapeva cosa fare se non aspettare l'inevitabile fine di tutto questo, perché nessuno poteva volontariamente farsi del male troppo a lungo, o almeno nessuno così «sano» come Françoise.
Sapeva anche che lei avrebbe dovuto cancellarlo per questo, e anche se non negava che la cosa gli faceva male, lo accettava come inevitabile... e giusto.
Certo ancora una volta non si era aspettato che le cose cambiassero così all'improvviso e in quel modo, che riuscissero a peggiorare ulteriormente invece di migliorare.
La sera in cui Françoise era rimasta a chiacchierare con Catherine, lui sapeva che ovviamente non lo avrebbe potuto seguire, ed era così abituato a quella presenza nascosta e silenziosa che non poteva evitare di provare una punta di tristezza le rare volte in cui lei non c'era… quindi, aveva deciso di tornare indietro…
Non era molto che era arrivato alla base quando aveva bussato Catherine…
Era rimasto fermo ad ascoltare le sue accuse finché, ad un certo punto, gli aveva detto quella frase…
“Povera Françoise, la stai uccidendo!”
In quell’istante, una parte di lui comprese di essere veramente colpevole… lo aveva sempre saputo.
Aveva chiuso la porta lasciandola fuori, avvertendo un improvviso e totalmente irrazionale senso di vuoto.
Dov'era lei? Perché provava quell'assurda sensazione? Perché si sentiva improvvisamente solo? Che assurdità... una cosa davvero stupida e illogica, ma per la prima volta dopo mesi e mesi aveva passato la notte da solo, completamente solo…
Da allora aveva cercato di evitare Françoise.
Aveva assistito da lontano al suo maldestro tentativo di cambiare, di essere diversa da quello che era, di negare se stessa.
L'aveva vista ancora più insicura, sofferente, infelice.
Sapeva che sarebbe passato anche questo, che non avrebbe potuto vivere senza essere se stessa, non troppo a lungo almeno.
Ma questa volta faceva male, male davvero, e a volte arrivava ad essere un dolore fisico che gli prendeva lo stomaco e gli faceva chiudere gli occhi.
Era stata così male anche lei quando lo aveva visto con altre donne?
Sicuramente era stata male, ma lui non stava male perché lei si faceva toccare da altri uomini.
Bugiardo… stava davvero male per quello, ma non solo per quello: era vederla così, vederla che si annullava e brancolava, era questo, soprattutto questo, vederla soffrire così.
Come diavolo erano arrivati a tutto questo?
Perché non erano riusciti a fermarsi prima, perché non era riuscito ad impedirlo?
Ed ora era troppo tardi.
Doveva accettare quella scelta, quell'assurdo e doloroso sistema che aveva trovato per dimenticarlo? A pensarci bene un sistema tipicamente da Françoise: non fare del male agli altri, solo a se stessa.
Ancora una volta non aveva fatto niente, ma questa volta non poteva fare niente, non ne aveva più il diritto.
Doveva solo aspettare che tutto questo passasse.
Una sera, solo una sera era rimasto a guardarla mentre si riduceva ad una mera ombra di se stessa… e quando quel cretino le si era appiccicato non aveva resistito e li aveva raggiunti… aveva afferrato quel tipo e gli aveva spiegato che gli conveniva sparire, aggiungendo che se lo trovava a molestare un'altra ragazza ubriaca lo uccideva.
Poi l'aveva guardata, così devastata, lottando contro la tentazione di gridarle, scuoterla, stringerla... portarla via, invece le aveva detto le prime due cose che gli erano passate per la testa, e se n’era andato.
Da quella volta l'aveva evitata accuratamente e quando era costretto a parlarle lo faceva freddamente, il più sbrigativamente possibile.
E poi quell'ultima missione…
In missione era più difficile stare distanti e per quanto si limitasse a ridurre i contatti al minimo questi erano sempre troppi; però non andava così male, sembrava tutto sotto controllo.
Perché lo avesse così sconvolto trovarla con Albert non lo sapeva dire con esattezza.
Non se lo aspettava, tutto qui.
Forse era un bene per lei, in fondo Albert era un bravo ragazzo e aveva sofferto tanto anche lui nella vita, forse effettivamente si piacevano, si volevano bene.
Forse andava bene così, forse alla fine era la cosa migliore per Françoise, magari lui non se n’era accorto ma era nato qualcosa tra loro.
Non lo sapeva e non voleva saperlo, non voleva proprio pensarci, e soprattutto non voleva vederlo.
Per quello aveva detto al dottor Gilmoure che non voleva più fare missioni con Françoise, almeno non per i prossimi dieci anni... sì... dieci anni potevano essere sufficienti…

 

Parte 4

Françoise era rimasta solo per pochi secondi davanti alla porta di Joe e poi aveva bussato, prima di cambiare idea.
Lui aveva aperto e lei era entrata senza aspettare di essere invitata, superandolo.
Joe aveva chiuso la porta e aveva acceso la luce.
Erano rimasti lì in piedi a guardarsi come due idioti.
Com'era bello…
I capelli biondi - come sempre soffocò la tentazione di allungare la mano e toccarli - si stagliavano sulla pelle del suo viso… il suo bel viso… ne incontrò gli occhi scuri, quegli occhi che la tenevano legata in una sorta di incantesimo… si affrettò a distogliere i suoi, di occhi, e continuò a scendere con lo sguardo, immaginando la pelle sopra i muscoli.
Sono pazza, pensò, sono qui per chiarire, tagliare, e avrei voglia di...
È stato un grosso errore venire.
E lui se ne sta qui a guardarmi tranquillo e niente lo sfiora!...
Accolse con gioia quel principio di rabbia irragionevole e cercò di farsene avvolgere, di alimentarlo, perché le avrebbe dato forza.
Non ci voleva molto: bastava guardarlo mentre se ne stava lì senza dire un parola, indifferente, come se la cosa non lo riguardasse, come se niente lo riguardasse, tanto meno la persona che gli stava davanti.
Che voglia di spaccargli la faccia, aveva ragione Jet, l'avrebbe fatta stare meglio, e magari dopo avrebbe potuto starsene lì a guardarlo per un'ora senza sentire niente.
“Cosa vuoi?” le chiese infine lui…
E la guardava lontano, distaccato…
“Sei uno stronzo…” sibilò.
Lui aveva abbassato lo sguardo per un momento.
Che cosa vuoi, mi chiede, e con quella faccia da schiaffi oltretutto…
“Niente Joe, non voglio niente da te, non preoccuparti! Non turberò la tua falsa e misera quiete! Sta’ pure lì a far finta di niente... ma lasciatelo dire forte e chiaro… tu adesso credi, ti lavi la coscienza credendo di passare come un fantasma nelle vite degli altri, credendo di non fare del male, ma non è così! Fai del male lo stesso, sei uno stronzo lo stesso... è colpa tua lo stesso!”
Lui l'aveva guardata impassibile e lei non riusciva a leggere niente, niente, attraverso quel maledetto muro invalicabile…
Ed era terribile quella sensazione, le faceva venir voglia di urlare come una pazza, di scuoterlo fino a fargli male, di odiarlo con tutte le sue forze…
“Di cosa… è colpa mia?” le chiese infine.
Lo aveva guardato incredula.
Ma non capisci niente, non capisci proprio niente?...
“Di cosa... di cosa? Di tutto! DI TUTTO! TI VA BENE?”
“Tutto… mi sembra  un po’ troppo…” le aveva risposto lui con un mezzo sorriso.
Il sangue le era andato alla testa…
“Stronzo!...” urlò senza avvicinarsi, lasciando che tutta la frustrazione che aveva accumulato per anni uscisse fuori di colpo “…vuoi che ti dica di cosa è colpa tua? Vuoi che te le elenchi una per una le tue colpe? E' colpa tua se sono ridotta così! Ti basta? E' colpa tua bastardo se la mia prima volta ha fatto così schifo! E poi... e poi... di tutto, tutto quello che ho fatto! TUTTO! Colpa tua se sono... se mi sento così SPORCA! E' colpa tua! TUA E DELLA TUA DANNATISSIMA PAURA DEI SENTIMENTI!...” ormai urlava e urlava, appena cosciente del groviglio di pensieri incoerenti che gli stava scaricando addosso “…e non mi diverto neanche poi! Se mi va bene non sento niente! NIENTE! Mentre tu... NON TOCCARMI!” urlò perché lui si stava avvicinando e se era pena quella che vedeva, se era pena quello che gli si leggeva negli occhi, allora lo uccideva…
“Non toccarmi! Non voglio niente da te! HAI CAPITO? NON TOCCARMI!”
Lui si era fermato e la guardava, la guardava... e lei si sentiva debole e per questo si infuriava ancora di più…
“E non guardarmi così! Voglio solo capire...” e ora purtroppo le venivano gli occhi lucidi “…quella... quella della missione... tu dovevi proteggerla! Non… me lo dici che cosa aveva di speciale? Dimmelo! Perché lei? Perché lei?”
“Devo... rispondere?” mormorò lui…
“Te lo sto chiedendo! Voglio sapere perché lei... e la rossa... e le altre! Perché ti ho visto sai? Ti seguivo! Pensa che scema! Ti seguivo!”
“Lo so…”
“Lo sapevi? Lo sapevi e lo stesso... lo stesso... con quelle...”
Ormai non riusciva più a trattenere le lacrime, le scorrevano copiose sulle guance.
Patetico... patetico…
Gli si avvicinò furiosa, con lui, con se stessa, e cominciò a picchiarlo sul petto con i pugni, ritmicamente: una, due, tre volte…
“Lo sapevi…” la voce ormai un sussurro “…e… e… andavi a letto con quelle sapendo che io ero lì... e io... io... perché, perché... perché? Perché loro, perché non hai voluto me? Io che ti aspettavo, da sempre... quando facevi il cretino con il mondo intero... e cretino è una parola generosa... e io aspettavo... aspettavo... che stupida! Aspettavo che tu ti accorgessi di me, che ti ero sempre vicino... me ne stavo a distanza... per non essere invadente, ma ti aspettavo... ti aspettavo sempre, e poi arriva una... una stronza qualsiasi... e tu... e tu... che stronzo… e che stupida, stupida, stupida…”
C'era sempre meno forza nei suoi pugni… singhiozzava.
Lasciò che lui la stringesse tra le braccia ed appoggiò il capo sul suo petto, continuando a piangere, bagnandogli tutta la maglietta.
“Scusami Françoise…” le sussurrò lui “…scusami, perdonami... pensavo... pensavo che tu saresti stata meglio senza di me... pensavo di...”
“Pensavi...” riuscì a dire lei tra i singhiozzi “…non pensare Joe, quando pensi.... fai i danni più grossi!”
Poi pian piano lei aveva smesso di piangere e si era staccata dal suo petto…
“Hai un fazzoletto?...”
Joe si allontanò un istante e subito tornò porgendole un fazzoletto. 
Si soffiò poco elegantemente il naso e si asciugò gli occhi, dovevano essere tutti rossi e gonfi, come il naso… doveva essere sfigurata…
“Devo essere orribile…” mormorò…
“No… sei bellissima…” e lo pensava davvero...
Lei lo abbracciò forte… con tutta la sua forza…
“Non potresti... per una volta soltanto… darmi un bacio?...” gli sussurrò alzando il viso a guardarlo.
E lentamente, incredibilmente, lui si chinò, e lei posò le labbra su quelle, così tanto desiderate, di Joe.
Si baciarono con tenerezza… e poi con passione… e Françoise sentiva un calore diffondersi in tutto il suo corpo e sapeva come si chiamava… era desiderio.
Si staccò a fatica… non avrebbe voluto staccarsi mai…
”Ti amo… tanto, purtroppo…” ammise…
“Non so se è una gran fortuna…”
“Immagino di no... ma mi passerà prima o poi, in qualche modo passerà... io… è meglio che me ne vada ora…” gli accarezzò la guancia.
Non voleva andarsene, ma non voleva neppure restare solo perché era lei a volerlo,  non voleva chiederglielo lei… non poteva chiederglielo lei… non poteva cadere così in basso, non dopo tutti i proclami che si era fatta fino a poco prima, non dopo che aveva ritrovato un minimo di ammaccata dignità… toccava a lui sbilanciarsi un po’, se voleva… se effettivamente gli interessava almeno un poco.
Fece per allontanarsi, neppure sicura di riuscire ad andarsene davvero…
Proprio io che odio recitare, fingere... e se davvero mi lascia andare via? Ne avrò la forza?
Ma lui la trattenne per il braccio…
“Ti prego…” le disse “…resta qui questa notte, nel mio letto, nella mia vita… resta… non voglio rimanere solo, ho… bisogno di te…”
Lasciò che lui la stringesse ancora… che la baciasse ancora…
“Hai bisogno di me?...” non riuscì a trattenersi nel chiederlo…
“Sì…”
Lei gli afferrò i capelli con una mano, l'altra sul suo collo.
Sapeva che non le sarebbe bastata una sola notte, ma voleva fare l'amore con lui, voleva fare l'amore una buona volta, e forse… forse non sarebbe stata una sola notte…

Oggi

Sotto il getto della doccia sentiva che la stanchezza, la tensione, si scioglievano.
Stava decisamente meglio quando uscì.
Indossò l'accappatoio ed aprì la porta appena in tempo… si stava svegliando… si avvicinò e rimase a guardarlo per un attimo… i pugnetti che si alzavano, gli occhi che si aprivano pian piano... e lei era lì…
“Sssh... cucciolo…” lo prese in braccio “…non svegliare il tuo papà… è tornato da poco…”
Scese le scale con il bimbo in braccio che cercava disperatamente il suo seno.
Arrivò in salotto e si accomodò sulla sedia a dondolo, il posto che amava di più.
Cominciò a dondolarsi lentamente, il piccolo che finalmente succhiava, le manine che si stringevano ritmicamente sul suo petto.
Il suo bel cucciolo, pensò orgogliosa guardando quel ciuffetto di capelli biondi che aveva sulla testolina.
In dormiveglia cambiò seno e si svegliò poco dopo, di colpo, col bimbo in braccio che ora dormiva beatamente.
Si alzò a fatica e lo sistemò nella culla che lasciava sempre lì vicino… ormai era piccola, avrebbe dovuto cambiarla presto.
Non svegliarti, non osare, pensò.
Lui sembrò ascoltarla e continuò a dormire beatamente sulla schiena, i pugnetti stretti appoggiati ai lati della testa, un'aria soddisfatta e le labbra che si muovevano a tratti come se stesse sognando di succhiare...
“Ti credi il padrone del mondo, eh?...” mormorò, un'ondata d'amore intenso che l'avvolgeva, intenso come non pensava di poter provare, come quello, uguale ma diverso, che provava per suo padre…
“Devi lasciarmi dormire di più, sai? Guarda come sono ridotta... e tu non lo sai, ma tuo padre è molto affascinante... e ci sono un sacco di signore che aspettano solo che io abbassi la guardia… il mondo è pieno di donnacce, cucciolo... e lo scoprirai anche troppo presto visto che sei uno Shimamura... e che quando dico che speravo tanto che tu non assomigliassi al tuo papà, non mi riferisco all'aspetto fisico, anzi, quello va bene... è lui il bello della famiglia... è che la natura si è concentrata troppo sul suo aspetto esteriore... non aveva più tempo per il cervello mi sa, così ragiona in maniera un po’ distorta, aggiungi che è solo un maschio...”
Uno sbadiglio le fece interrompere quello sproloquio… è il sonno, si disse, e non è neanche tutta colpa tua cuccioletto, devo smetterla di voler fare tutto, ha ragione Joe, anche se non lo ammetterò mai…
«D'altronde tuo figlio me lo devo sciroppare tutto io… e non posso tralasciare il resto, in fondo non sono neanche una donna sposata!» gli aveva risposto sarcastica non molto tempo fa.
Avvicinò la culla alla sedia a dondolo e si dondolò un poco fissando un punto indefinito davanti a sé.
Pensava.
Eccomi qui… senza una vita mia, senza la forza, né il tempo di fare una doccia, figuriamoci un pensiero coerente.
E poi non aveva tempo per se stessa, figuriamoci per Joe.
Fece un rapido calcolo: tenuto conto che l'ultimo mese di gravidanza lei non se la sentiva di far sesso ora erano più di quattro mesi che non facevano l'amore, e il mondo lì fuori è pieno di sgualdrine pronte a saltare addosso al mio… non marito... non che avrebbero smesso se si fossero sposati, però lei si sarebbe sentita meglio.
Vagò con lo sguardo su tutta la stanza e gli occhi le si posarono su un oggetto sopra il tavolino... com'è che non lo aveva notato prima?
Si alzò, ben sveglia ora: c'era una scatolina che teneva fermo un biglietto con scritto sopra Buon Compleanno…
Prese il biglietto e lo aprì impaziente…
Ti amo…, vuoi sposarmi?
Con il cuore che le batteva forte aprì la scatolina… dentro c'era un anello di platino con diamanti ed una perla al centro in un'elaborata lavorazione.
Glielo aveva indicato ammirata lei una vita fa, non pensava che lui si ricordasse!
Lo provò immediatamente, era bellissimo, solo appena un po’ largo, si girava un pochino: niente che non si potesse fermare con un altro anello, una fede ad esempio.
La piccola peste intanto piagnucolava, non lo aveva cambiato... dove aveva la testa?
Lo prese in braccio prima che cominciasse ad urlare e svegliasse tutta la città, cosa di cui era assolutamente capace, ed andò in bagno a cambiarlo.
Al ritorno Joe era lì, con un'aria terribilmente assonnata, che si dondolava sulla sedia e la guardava.
Incontrò il suo sguardo, i suoi occhi, quegli occhi scuri così profondi, senza una fine, in cui ancora poteva perdersi… in cui ancora si perdeva…
“Vieni qui…” le disse…
Lei si sedette sulle sue ginocchia e si appoggiò a lui, la testa sulla sua spalla, il piccolo ancora in braccio.
Lui li cinse entrambi.
Si dondolarono tutti e tre per qualche minuto…
“Ti amo anch’io…” ruppe il silenzio lei.
Quel pomeriggio non sarebbe andata alla base… quel pomeriggio avrebbe dormito… e poi si sarebbe fatta bella per il suo uomo.
Rimasero così ancora per diversi minuti.
Françoise chiuse gli occhi, decisa ad assaporare quel momento di perfetta felicità.
Avrebbe voluto che durasse per sempre.
Ma niente è per sempre…

© 14/07/ 2013

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